«Caro Napolitano,
dopo più di 20 anni di
conoscenza e di Parlamento comune (io ero in aula quando tu,
giustamente, hai respinto l’assalto, arbitrario, della Guardia di
Finanza, inviata da un improvvido magistrato) e dopo sempre luminosi
incontri, per ragioni d’arte od occasioni politiche e culturali, temo
che i nostri cordiali e, permettimi, anche affettuosi rapporti, non
potranno più essere gli stessi.
Tu, infatti, non posso credere
distrattamente, giacché sei il Presidente della Repubblica, hai sciolto
il Comune di Salemi per infiltrazioni mafiose. Tu hai firmato.
Con quell’atto, io, tu, la Sicilia,
l’Italia, abbiamo subito una violenza inaudita da parte di chi ha
prospettato, contro la Costituzione, contro la democrazia e contro la
verità, una rappresentazione assolutamente falsa dei fatti avvenuti in
quella città in circa 3 anni della mia effettiva sindacatura, due dei
quali trascorsi a preparare la città per il tuo arrivo. Ti diranno che
hanno fatto indagini scrupolose, che hanno trovato prove. E ti
mentiranno. Hanno semplicemente chiamato mafia la politica che tu hai
visto e con cui ti sei misurato nella Prima e nella Seconda Repubblica.
In rapporto tra le maggioranze elette e gli esponenti politici locali,
nella più tradizionale dialettica, nient’altro.
Tu sei venuto e hai visto la città, le
cose che ho fatto, l’entusiasmo dei cittadini e i festeggiamenti dei
ragazzi, denunciando anche davanti a te, nel discorso ufficiale per il
150° dell’Unità d’Italia, le infiltrazioni della mafia.
Ti sei affacciato con me, con il
ministro della Difesa e con altre autorità dal balcone dal quale
Garibaldi vide l’Italia unita e indicò idealmente Salemi come capitale
di un sogno divenuto poi realtà. Una bella lapide ricorda il tuo
passaggio.
Tutto quello che è accaduto a Salemi, ed
è stato esaltante, e tutti i giornali e le televisioni del mondo lo
hanno raccontato, non può essere in alcun modo ricondotto alla mafia.
Le cose che sono state fatte, oltre
quelle che hai apprezzato in circa 3 ore di visita appassionata, sono
state moltissime, e tutte all’insegna della rinascita culturale, contro
ogni resistenza politica e culturale locale: la realizzazione del Polo
Museale con annessi il Museo della Mafia, del Paesaggio e del
Risorgimento; il Festival del Cinema Religioso; il Festival della
Cultura Ebraica; il Festival della Letteratura; il Festival di musica
jazz; decine di presentazioni di libri, seminari e convegni con i più
importanti autori della letteratura e del giornalismo italiano;
l’allestimento di mostre in collaborazione con prestigiose istituzioni
come il Festival di Spoleto e la Fondazione Magnani Rocca; l’esposizione
al pubblico, per la prima volta in Sicilia, di capolavori di
Caravaggio, Rubens, Guercino, Picasso, Modigliani, Lotto; le battaglie
per la difesa dei diritti civili a sostegno del Tibet invitando a Salemi
il Presidente del Parlamento in esilio, Dolma Gyari; le battaglie per
la difesa del Paesaggio, denunciando le infiltrazioni della mafia – le
sole che ho visto – nel business delle rinnovabili; la partecipazioni di
Salemi ad importanti iniziative in Italia e all’estero, da Israele al
Canada, promuovendone l’immagine ed ottenendo in soli due anni un
riscontro di presenze turistiche straordinario; la costituzione di un
laboratorio di giovani creativi che ha partecipato a stage in diverse
discipline artistiche; la realizzazione di «Benedivino», la più
importante iniziativa di promozione del vino siciliano di cui si è
parlato anche all’estero; la riproposta del «Marsala» offerto a Londra
al Principe Carlo; le mostre della Biennale d’arte di Venezia ospitate a
Salemi; il progetto delle «Case a 1 euro», il cui iter amministrativo
si è concluso pochi giorni prima le mie dimissioni da sindaco. E
numerose altre iniziative in cantiere ma bloccate da chi, inventandosi
una mafia che non c’è, ha ucciso un sogno che era diventato un modello.
Nessun comune ha fatto tanto davanti
alla attenzione del mondo con così limitate risorse. Io ho fatto e ho
innalzato il nome di Salemi rivelandone la tradizione e la storia, anche
ai tuoi occhi. Questa è la sola antimafia che io posso concepire.
Uomini infedeli dello Stato hanno voluto
chiamare mafia – sulla base dell’indagine che ha investito un ex
deputato regionale, Giuseppe Giammarinaro, non diversamente da tanti
esponenti della politica siciliana, dall’ex all’attuale Presidente della
Regione, dall’ex ministro dell’Agricoltura, ora segretario di un
partito politico, all’ex assessore regionale ai Beni Culturali, tutti
politici attivi – quello che, nel mondo più inoffensivo e trasparente,
si chiama politica. E io non ne ho avuto paura. E ho ascoltato,
discusso, valutato, deciso, in assoluta autonomia, in assoluta libertà e
con grandi risultati, che tu in parte hai visto. E ognuno di quei
politici ha fatto e fa quello che solo a Salemi viene ritenuto un
crimine. E solo a Salemi l’esercizio della democrazia, la presentazione
di liste, l’attività politica vengono chiamate «regia occulta». Nessuna
proposta, nessuna richiesta, sono state fatte attraverso pressioni o
arbitri, nell’assoluta autonomia di un’amministrazione che non subiva
alcun condizionamento politico, altro che mafioso.
Ora vedo quell’esperienza umiliata,
vilipesa, infangata. E leggo te firmare un decreto che si basa su
ricostruzioni prive di ogni riscontro, senza alcun rilievo penale per
quello che riguarda i soggetti politici legittimati dal voto, frutto di
fantasiose ricostruzioni di un maresciallo dei carabinieri che tutto
vedeva e tutto sapeva da almeno 15 anni e non ha mai prospettato alcun
profilo di pericolosità nel politico locale che ha «politicamente» e
legittimamente influenzato tutte le amministrazioni precedenti la mia.
Ricostruzioni fantasiose di un
maresciallo dei carabinieri, sorprendentemente e supinamente riprodotte
nelle relazioni del prefetto di Trapani, Marilisa Magno, e nella
relazione di ispettori della Commissione di accesso agli atti, che non
mi hanno mai richiesto di spiegare quello che poteva sembrare equivoco,
che hanno agito per sentito dire su intercettazioni relative a
un’inchiesta in corso, non per mafia, sul suddetto politico locale,
criminalizzandolo in modo arbitrario e stupefacente, anche solo per
avere cercato (sic), contro la mia volontà, di realizzare,
gratuitamente, durante le feste di Natale, uno spettacolo nelle scuole
materne nel piccolo teatro: queste sarebbero le infiltrazioni mafiose.
Con oscuri riferimenti a chissà
quali irregolarità nell’affidamento di un terreno confiscato alla mafia,
che io volevo attribuire a Slow Food (che pretendeva però 50 mila euro
non disponibili nelle casse comunali) e che è stato affidato a
un’associazione che ha visto confermato il suo titolo con una sentenza
del Tar successiva allo scioglimento del Comune. Contraddizioni dello
Stato ? No. Falsificazioni, prepotenze di ispettori prevenuti e di un
prefetto superficiale, imbevuti di luoghi comuni e incapaci di vedere la
rivoluzione culturale in atto, impermeabile a ogni influenza, anche
legittima.
Con l’incredibile e inimmaginabile
leggerezza del Ministro dell’Interno, da me informato e sollecitato ad
approfondire la situazione reale di Salemi, senza pregiudizi (che sono
colpa grave se verranno riconosciuti, come spero, dal Tar, presso il
quale ho fatto ricorso) fino al giorno prima della decisione del
Consiglio dei Ministri, e che ha firmato un provvedimento con
ricostruzioni documentatamente false.
Non sarei a prospettarti questo
inquietante scenario se non fossi assolutamente certo di quello che dico
e della violenza che la città ha patito con la sospensione della
democrazia attraverso un atto ingiusto.
La democrazia non si commissaria,
soprattutto attraverso una legge che, come tu avrai osservato, risale a
un’epoca in cui i sindaci venivano eletti dai consiglieri comunali e non
direttamente dal popolo.
Io non ho subito, consapevolmente (e, voglio credere, neanche inconsapevolmente) alcuna pressione.
La terribile sensazione d’impotenza e di
violenza, quando non la mafia, ma l’antimafia condiziona la vita civile
di un paese – come è accaduto e sta accadendo – stabilisce chi si debba
e non si debba candidare, al di là dei reati che ha compiuto, e delle
condanne che ha subito, è umiliante e intollerabile.
Dopo questa lettera io procederò a
denunciare il Prefetto di Trapani e il ministro dell’Interno. Come ho
già fatto, senza risotoro, con il maresciallo dei carabinieri e il
Questore. Per quello che ho visto, e che anche tu con la tua firma hai
avallato, per l’infamia che avete, senza rispetto della verità e del mio
tenacissimo impegno, attribuito alla città, posso dire, come avevo già
sospettato in altre aberranti circostanze, che in Italia non c’è
giustizia. Ma avrei desiderato, essendo stati parlamentari insieme, con
onestà e impegno, in tempi di aggressione giudiziaria alla politica, di
essere sentito da te, interpellato, dopo avere invano prospettato la
situazione a un ministro inane.
E’ anche per questo che, nelle mie
funzioni istituzionali di Alto Commissario per il Restauro della Villa
Romande del Casale a Piazza Armerina, ti chiedo di non essere presente
all’annunciata riapertura al pubblico dell’insigne monumento il 24
maggio, come è stato ipotizzato, sia perché il cantiere non è chiuso e
l’inaugurazione è una illusione dopo anni di straordinari e impegnativi
lavori, non terminati per esaurimento di fondi, ma anche per evitare di
incontrare un uomo, che tu hai voluto umiliare, affiancando la sua
opera esaltante a Salemi, all’azione della mafia.
E, d’altra parte, non ti sfuggirà,
che non sapresti da che parte voltarti, perché sarebbe al tuo fianco un
presidente della Regione di cui è stato chiesto il rinvio a giudizio per
mafia, o qualche suo assessore che ha partecipato a riunioni di giunta
con un presunto mafioso. Molto peggio di quello che, contro la verità,
ti è stato prospettato per Salemi, inducendoti a compiere un atto
profondamente sbagliato. Che io sul piano umano, politico e personale,
non ti posso perdonare.
Con molto rimpianto»
Vittorio Sgarbi
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